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Come riconoscere l’ansia sociale negli adolescenti: segnali da non sottovalutare

Come riconoscere l'ansia sociale negli adolescenti: segnali da non sottovalutare | Sabrina Papola psicologa e psicoterapeutica
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Spesso nel mio studio a Roma incontro genitori preoccupati che mi raccontano di figli che “improvvisamente” sembrano essere cambiati. “Non esce più con gli amici“, “trova sempre una scusa per non andare alle feste“, “a scuola va bene ma dice che ha sempre mal di pancia prima delle interrogazioni“. Sono storie che conosco bene, perché l’ansia sociale negli adolescenti è diventata una realtà sempre più diffusa nelle nostre case.

I numeri ci parlano di un fenomeno tutt’altro che marginale: secondo i dati dell’UNICEF, 1 adolescente su 7 tra i 10 e i 19 anni convive con un disturbo mentale diagnosticato, e l’ansia sociale rappresenta una porzione significativa di questi casi. Le ricerche più recenti indicano che circa il 9-12% degli adolescenti sperimenta sintomi significativi di ansia sociale, un dato che probabilmente sottostima la reale portata del fenomeno.

Ma cosa significa davvero ansia sociale? Non parliamo della normale timidezza che tutti noi ricordiamo della nostra adolescenza. L’ansia sociale è una paura intensa e persistente di essere giudicati nelle situazioni sociali, che porta all’evitamento sistematico di feste, interrogazioni, attività di gruppo. È quel rossore che non passa, sono quelle palpitazioni prima di entrare in classe, è quella voce che diventa un sussurro quando tutti ti guardano.

I segnali da riconoscere? Eccoli: ritiro progressivo dalle attività sociali, manifestazioni fisiche intense prima degli eventi, difficoltà crescenti nel parlare in pubblico o mantenere il contatto visivo, e una costante preoccupazione per il giudizio degli altri che diventa paralizzante.

Ansia e attacchi di panico | Sabrina Papola psicoterapeuta Roma

Quando la timidezza diventa qualcosa di più profondo

Quante volte sento dire: “È solo timido, crescendo passerà“. E quante volte devo spiegare che c’è una differenza sostanziale tra la timidezza normale dell’adolescenza e l’ansia sociale vera e propria. La timidezza è come un fiume tranquillo: c’è un po’ di imbarazzo nelle situazioni nuove, ma la vita scorre. L’ansia sociale, invece, è come una diga che blocca tutto il flusso.

La differenza principale sta nell’intensità del disagio e nel modo in cui interferisce con la vita quotidiana. Un ragazzo timido può sentirsi a disagio ma riesce comunque a partecipare, magari restando un po’ in disparte. Chi vive l’ansia sociale, invece, evita proprio quelle situazioni, oppure le affronta con una sofferenza così intensa da compromettere la sua capacità di godersi l’esperienza.

E c’è un altro aspetto importante da considerare: l’età media di esordio dell’ansia sociale è 13 anni, con il 75% dei casi che si manifesta tra gli 8 e i 15 anni. Questo significa che spesso ci troviamo davanti a ragazzi che stanno vivendo i loro primi approcci alla socialità già con questo peso addosso.

Non confondiamo poi l’ansia sociale con la fobia scolare, anche se spesso viaggiano insieme. Nell’ansia sociale, la paura riguarda il giudizio degli altri in qualsiasi contesto sociale. Nella fobia scolare, l’evitamento è specifico per la scuola, anche se le radici del problema possono essere simili. Quando lavoro con genitori che affrontano queste difficoltà nel supporto alla genitorialità, spesso aiuto a distinguere questi aspetti per un intervento più mirato.

I segnali che un genitore non può ignorare

Quando il ritiro diventa una strategia di sopravvivenza

Mi viene in mente il caso di una quindicenne che ho seguito recentemente. Aveva smesso gradualmente di partecipare a tutte le attività extrascolastiche, declinando gli inviti con giustificazioni sempre diverse: “La musica è troppo alta”, “Non mi piacciono più questi giochi”, “Preferisco studiare”. In realtà, dietro ogni “no” c’era il terrore di dover sostenere conversazioni spontanee e di sentirsi osservata.

L’evitamento sistemico nell’ansia sociale non è capriccio o disinteresse. È una strategia difensiva che l’inconscio mette in atto per proteggersi da una ferita che sente come troppo rischiosa. È come se il ragazzo preferisse controllare il proprio isolamento piuttosto che rischiare un rifiuto che confermerebbe le sue paure più profonde.

I segnali da osservare includono:

  • il rifiuto crescente di partecipare ad attività sportive di gruppo
  • la tendenza a trovare scuse creative per evitare eventi sociali
  • una preferenza sempre più marcata per le attività solitarie anche quando sono disponibili alternative interessanti con i coetanei.

Quando il corpo urla quello che la mente non riesce a dire

Il corpo diventa spesso il primo messaggero del loro disagio emotivo. Una sedicenne che seguivo sviluppava regolarmente emicranie e nausea ogni lunedì mattina – proprio il giorno in cui aveva educazione fisica, l’unica attività che richiedeva di cambiarsi davanti alle compagne di classe.

Questi sintomi fisici non sono “teatro” o tentativi di evitare responsabilità. Sono la traduzione corporea di un conflitto interno molto reale e doloroso. Il rossore incontrollabile che diventa esso stesso fonte di ulteriore imbarazzo, la sudorazione delle mani che impedisce di stringere la mano ai coetanei, i tremori visibili quando si diventa il centro dell’attenzione, le palpitazioni così forti da essere scambiate per problemi cardiaci.

Ho visto ragazzi sviluppare veri e propri disturbi gastrointestinali situazionali che i genitori inizialmente attribuivano a problemi alimentari, quando invece erano la manifestazione somatica dell’ansia anticipatoria legata alle situazioni sociali.

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Il silenzio come ultima trincea

Uno degli aspetti più toccanti dell’ansia sociale adolescenziale è vedere ragazzi brillanti e sensibili che diventano letteralmente muti in situazioni sociali. Mi ricordo di un quattordicenne, straordinario negli elaborati scritti, che durante le interrogazioni orali riusciva a emettere solo brevi frasi stringate, spesso con lunghe pause. Non era mancanza di preparazione: era una vera paralisi comunicativa.

La voce che trema, che si abbassa fino a diventare inudibile, i blocchi nel discorso con lunghe pause imbarazzanti, l’evitamento dello sguardo durante le conversazioni. E poi c’è la rigidità corporea, come se ogni muscolo fosse teso per difendersi da un attacco imminente.

Questi ragazzi spesso sanno esattamente cosa vorrebbero dire, ma è come se ci fosse un cortocircuito tra il pensiero e la parola. La tendenza a dare risposte monosillabiche anche quando conoscono perfettamente l’argomento è un altro segnale che dovrebbe farci riflettere.

L'ansia sociale nell'era digitale

La generazione di oggi vive la socialità anche attraverso gli schermi, e qui l’ansia sociale trova nuove modalità di espressione che spesso noi adulti facciamo fatica a comprendere. Una diciassettenne che ho seguito recentemente partecipava alla chat di classe come una presenza fantasma: leggeva tutto, ma non scriveva mai. Quando doveva rispondere a domande dirette, riscriveva il messaggio decine di volte prima di inviarlo, spesso per cancellarlo e restare in silenzio.

Il “ghosting” nelle conversazioni – sparire improvvisamente dalle chat senza spiegazioni – la cancellazione compulsiva di messaggi o post prima di inviarli, il comportamento da “lurker” che osserva senza mai partecipare attivamente. E poi c’è la FOMO amplificata: quell’ansia intensa prima e dopo gli eventi sociali di cui vedono le foto sui social, ma a cui non hanno partecipato.

L’evitamento delle videochiamate di gruppo, la difficoltà a pubblicare storie su Instagram, il controllo ossessivo dei like e dei commenti sono tutti segnali che nell’adolescenza digitale assumono un significato particolare quando si inseriscono in un quadro di ansia sociale.

Quando gli adulti interpretano male i segnali

"È solo una fase, crescendo passerà"

Questo è forse l’errore più doloroso che posso testimoniare nel mio lavoro. Minimizzare i segnali dell’ansia sociale come “normale adolescenza” può ritardare interventi che sarebbero molto più efficaci se tempestivi. È vero che l’adolescenza comporta naturali oscillazioni dell’umore e momenti di difficoltà sociale, ma l’ansia sociale patologica ha caratteristiche distintive precise, non possiamo parlare di “semplice timidezza”:

  • quando un adolescente evita sistematicamente situazioni sociali per più di sei mesi
  • quando il disagio è così intenso da causare sintomi fisici significativi
  • quando aree fondamentali della vita come la scuola, le amicizie, la vita familiare vengono compromesse.

Le ricerche ci dicono che i disturbi non trattati tendono a perpetuarsi nell’età adulta con un decorso cronico e debilitante. Non è allarmismo, è responsabilità verso il futuro emotivo dei nostri figli.

Scambiare l'ansia per disinteresse

Molte volte i genitori mi raccontano di figli che sembrano “non avere voglia” di socializzare, interpretando il ritiro come pigrizia o disinteresse. In realtà, dietro quell’apparente indifferenza si nasconde spesso un desiderio intenso di connessione sociale, frustrato dalla paura paralizzante del giudizio.

L’adolescente con ansia sociale non si ritira per scelta: è tormentato dal conflitto tra il bisogno evolutivo di appartenenza al gruppo dei pari e il terrore di essere rifiutato o umiliato. Questa distinzione è fondamentale quando lavoriamo insieme nell’ambito della consulenza per adolescenti.

Ansia sociale adolescenziale o disinteresse? | Sabrina Papola psicologa e psicoterapeutica

Le radici familiari dell'ansia sociale

Nel mio lavoro con le famiglie, vedo spesso come l’ansia sociale non nasce nel vuoto, ma cresce in particolari terreni relazionali. Non si tratta di colpevolizzare nessuno – ogni genitore fa del suo meglio con gli strumenti che ha – ma di comprendere le dinamiche che possono alimentare o, al contrario, proteggere dal disagio.

Quando l'amore diventa gabbia

L’iperprotezione combinata con il criticismo costante crea un ambiente emotivo molto particolare. Mi viene in mente il caso di una tredicenne la cui madre la accompagnava ovunque “per proteggerla”, ma contemporaneamente la correggeva costantemente su come si comportava, come si vestiva, cosa diceva. La ragazza aveva sviluppato un terrore di sbagliare in pubblico, convinta che qualsiasi comportamento spontaneo fosse inadeguato.

Questo non significa che i genitori non debbano guidare i figli, ma che c’è una sottile differenza tra il sostegno che aiuta a crescere e il controllo che paralizza. Quando nel lavoro con i genitori esploriamo questi aspetti, spesso emergono le proprie ansie non risolte che inconsciamente si trasmettono.

I modelli silenziosi

A volte l’ansia sociale si trasmette attraverso modelli non verbali. Famiglie dove l’evitamento sociale è la norma non dichiarata, dove si parla costantemente degli altri in termini negativi, dove l’isolamento viene mascherato da “preferenza per la privacy”. I bambini assorbono questi messaggi e crescono con l’idea che il mondo sociale sia intrinsecamente pericoloso.

È importante sottolineare che i dati rivelano una marcata differenza di genere: negli adolescenti, il rapporto tra femmine e maschi che soffrono di fobia sociale è di 220:100. Questo significa che le ragazze sono più vulnerabili, forse anche per le pressioni sociali specifiche che vivono nell’età adolescenziale.

Accompagnare senza forzare: strategie di sostegno

L'arte dell'ascolto autentico

Il primo e più potente strumento che abbiamo come adulti è l‘ascolto empatico. Non quello che ascolta per rispondere o per rassicurare, ma quello che ascolta per comprendere davvero. Quando un adolescente riesce finalmente a condividere le sue paure, ha bisogno di sentire che quelle paure sono legittime e comprensibili, non di essere convinto che “non c’è nulla di cui preoccuparsi”.

Riconoscere la validità del dolore del ragazzo, senza minimizzarlo né drammatizzarlo, crea quello spazio sicuro necessario perché possa iniziare a elaborare la sua esperienza. È come offrire un porto sicuro a chi sta navigando in una tempesta emotiva.

Piccoli passi, grandi conquiste

L’esposizione graduale nell’ottica psicodinamica è molto diversa dalla semplice tecnica comportamentale. Non si tratta di forzare situazioni sociali, ma di creare opportunità protette dove il ragazzo possa sperimentare relazioni autentiche senza la pressione della performance.

Ad esempio possono essere passi graduali verso una maggiore sicurezza interpersonale:

  • organizzare piccoli incontri con coetanei “sicuri”
  • favorire attività creative di gruppo dove l’attenzione non sia focalizzata sulla persona
  • creare rituali familiari che includano momenti di condivisione sociale.
Accompagnare senza forzare: strategie di sostegno per l'adolescente che soffre di ansia sociale

Il ruolo prezioso della scuola

La collaborazione con l’ambiente scolastico deve andare oltre le semplici facilitazioni tecniche. Certo, le interrogazioni programmate, la maggiore tolleranza sui ritardi, la possibilità di allontanarsi dall’aula durante i picchi d’ansia possono essere misure utili, ma l’obiettivo è creare un clima di classe che favorisca l’inclusione senza esporre eccessivamente gli studenti più fragili.

Spesso li aiuto a riconoscere i segnali sottili dell’ansia sociale e a sviluppare strategie che permettano a questi ragazzi di partecipare alla vita scolastica con maggiore serenità.

Quando è il momento di chiedere aiuto

L’intervento di uno specialista diventa necessario quando l’ansia sociale interferisce significativamente con il funzionamento quotidiano per un periodo superiore alle sei-otto settimane, quando compaiono sintomi depressivi associati, quando si sviluppano comportamenti di evitamento estremi o strategie di automedicazione.

L'approccio psicodinamico: guardare oltre i sintomi

Nel mio approccio con gli adolescenti, la psicoterapia psicodinamica offre uno spazio unico per esplorare non solo i comportamenti problematici, ma le dinamiche relazionali profonde e i conflitti interiori che alimentano l’ansia sociale. Non si tratta di “riparare” qualcosa di rotto, ma di accompagnare il ragazzo in un percorso di comprensione di sé e di integrazione delle parti della sua personalità che sembrano in conflitto.

L’adolescenza è il momento in cui si ridefinisce l’identità, si rinegozia l’autonomia, si esplorano nuove forme di relazione. Quando l’ansia sociale si inserisce in questo processo così delicato, è fondamentale lavorare non solo sui sintomi, ma sui significati profondi che questi assumono nella storia personale del ragazzo.

L'importanza di non aspettare

Una delle cose che più mi colpisce nel mio lavoro è vedere la differenza tra gli interventi precoci e quelli tardivi. Il 50% delle patologie psichiatriche esordisce prima dei 14 anni, e l’ansia sociale non fa eccezione. Quando riusciamo a intercettare il disagio nelle sue fasi iniziali, abbiamo molte più possibilità di modificare positivamente il decorso.

Non si tratta di patologizzare ogni difficoltà adolescenziale, ma di riconoscere quando quella difficoltà sta diventando un ostacolo significativo allo sviluppo. L’intervento precoce non solo previene conseguenze a lungo termine, ma restituisce al ragazzo la possibilità di vivere la sua adolescenza con maggiore libertà e spontaneità.

L’adolescenza è già di per sé un viaggio complesso, fatto di trasformazioni profonde e di ridefinizione di sé. Quando l’ansia sociale si aggiunge a questa naturale complessità, il nostro compito come adulti di riferimento è offrire quella presenza sicura e competente che può fare davvero la differenza.

Ricordiamo sempre che dietro ogni comportamento di evitamento c’è un ragazzo che sta soffrendo, che ha bisogno di essere visto e compreso nella sua unicità. La psicoterapia psicodinamica per adolescenti offre uno spazio privilegiato per questo riconoscimento e per la crescita che ne può derivare.

Se riconosci alcuni di questi segnali che interferiscono con la tua vita o quella di un parente in età adolescenziale, non esitare a cercare un confronto professionale. Ogni storia è unica, e ogni ragazzo merita di vivere la propria adolescenza con la maggiore serenità possibile.

La distinzione principale sta nell’intensità della sofferenza e nell’interferenza con la vita quotidiana. Se tuo figlio evita sistematicamente situazioni sociali e questo gli causa disagio visibile, se i sintomi durano più di due mesi e compromettono scuola o relazioni, probabilmente non si tratta di semplice timidezza.

Spesso dietro il “non mi interessa” si nasconde la paura del giudizio. Osserva se questa mancanza di interesse è accompagnata da tensione quando parli di eventi sociali, da sintomi fisici prima di situazioni di gruppo, da tristezza quando vede le foto delle feste sui social.

L’ansia da performance può essere un aspetto dell’ansia sociale. Se tuo figlio eccelle negli scritti ma ha difficoltà marcate nell’esposizione orale, se chiede spesso di essere interrogato per ultimo o trova scuse per assentarsi, potrebbe essere un segnale da non sottovalutare.

Possono amplificarla attraverso il confronto costante con gli altri e la paura del giudizio online. Se noti comportamenti come cancellare messaggi continuamente, evitare le videochiamate, o ansia intensa legata ai like e ai commenti, i social potrebbero essere un fattore che mantiene l’ansia.

Quando l’evitamento si concentra specificamente sulla scuola con assenze frequenti. Spesso coesistono, ma la fobia scolare ha sintomi più localizzati: mal di testa o nausea principalmente nei giorni di scuola, ansia che diminuisce nei weekend e nelle vacanze.

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